martedì 9 settembre 2008

Solo Qualche Mese

Ho caldo.
Non dovrei sentirlo però sento la sensazione del caldo. Non fisicamente, ma nella testa sento caldo. Vorrei spogliarmi, aprire la testa e far passare aria fresca. La finestra è aperta, o almeno a guardarla da qui sul letto da un microscopico spiraglio da sotto la palpebra mi pare aperta, ma sento caldo.
Sono 37 maledetti mesi che sono in questo letto d’ospedale e non c’è stato giorno in cui non ho sentito caldo. Strano, perché da quello che ho sentito dire si parla di “morte cerebrale” o cose simili.
Non ce la faccio ad aprire gli occhi. E’ già tanto se riesco minimamente a sollevare un pezzettino di palpebra sinistra e vedere quello che mi succede intorno. Ci ho messo 23 mesi a sollevare sta cazzo di palpebra e ora riesco a tenerla aperta per non più di qualche decina di secondo. Poi lo sforzo che mi costa lo pago con il sonno. Per recuperare le forze di un occhiatina mi cade addosso il sonno per qualche ora. Giusto il tempo per intravedere chi mi viene a trovare, incessante, da tre anni a questa parte e via, nel buio. Loro non si accorgono che io li guardo. Mi parlano, raccontano, cantano, descrivono, si confessano ma anche lì…ho qualche problema. Per ascoltare ascolto, ma un po’ ovattato, come se li ascoltassi parlare da un'altra stanza, o dal fondo di una cattedrale buia e cupa.
A volta riesco anche a carpire il senso di quello che mi stanno dicendo ma…non sono mai sicura di aver capito per bene.
In tutto questo tempo non mi sono mai potuta muovere da qui.
Mai.
A volta mi sembra di ondeggiare dentro al corpo, come se la mia anima fosse separata dal fisico, e mi sento libera, mi immagino di correre,saltare nuotare…ed è come se lo facessi per davvero. Mi sembra di avere il fiato corto, di sudare, di avere le guance paonazze. Altre volte mi sembra di essere cementata viva, ancorata ad un macigno e buttata giù in fondo ad una fossa oceanica, incapace di reagire.
Non mi sono mai vista allo specchio negli ultimi 3 anni, ma non devo essere uno bello spettacolo. Lo vedo da come, seppur per poco, mi guarda mia madre quando mi viene a trovare. Nello sguardo le intravedo un freddo grido di terrore. Poi mi si avvicina, mi sistema il cuscino, mi pettina…cose inutili che non mi danno nessun sollievo, ma che forse, lo danno a lei.
L’unica cosa che mi darebbe sollievo sarebbe spogliarmi e aprire tutte le finestre di questo cazzo d’ospedale, immergermi in una vasca piena di ghiaccio e bermi un estathè ghiacciato. Già, l’estathè. Mi sento il sapore in bocca, come ne vorrei adesso uno! Già perché anche sul nutrimento ho dei seri dubbi…da quando sono in questo stato non ho mai visto o sentito parlare di cibo, quindi immagino che avrò un tubo infilato da qualche parte che pensa a quello. Oltre al tubo per respirare, perché qui, Alessandra mia, non si è mai respirato. O no? No, niente odori, niente respiro, niente di niente.
Però c’è una sorpresa che sto preaprando a tutti. A mamma, papà, Francesca, a tutti quanti. Sono 16 mesi che mi sto allenando a muovere il dito indice destro. All’inizio nulla, ma adesso mi sembra che qualcosa si muova. Leggermente, lo sento. Sento che posso muoverlo, che qualcosa laggiù si risveglia. Mi immagino già quando in una delle solite visite delle 14.10 di mamma, lei mi si avvicinerà per mettermi a posto la frangetta e io la sfiorerò con il dito e lei tutta contenta, si metterà a piangere dicendo che “non è vero, non è vero che mia figlia è morta!”.
Credo che ci vorrà ancora un po’. Forse 6 mesi, forse un anno, ma manca poco. Ogni giorno mi alleno, è l’unica cosa che faccio, e nel giro di un anno dovrei riuscire a muovere il dito.

***

Oggi sono venuti tutti a trovarmi. Anche se è pomeriggio ed è infrasettimanale. C’è papà, mamma e anche Francesca. In questi tre anni, o meglio, da quando riesco ad intravedere qualcosa, non l’ho mai vista indossare uno dei miei vecchi vestiti. Giuro che mamma glielo vieta. Giuro che mia sorella si metterebbe su il mio maglione Napapijri di corsa, se solo glielo lasciassero fare. Me lo chiedeva sempre. Diceva che stava meglio a lei, perché era più magra. Vorrei sapere adesso quanto pesa lei e quanto peso io.
E’ arrivato anche il dottore nel frattempo.
Sono tutti seri, mamma mi tiene la mano. Lo so perché la vedo che me la sorregge.
Papà è più trafilato.
Francesca ha gli occhi bassi.
Sento il dottore parlare, ma non sono sicura di capire.
Vedo che mamma risponde, regge le lacrime a stento.
“…….ua figlia….pese medic..e…are…ina…”
“are a ina ? no no ….viva”
“dis…ce….ma…uzioe…”
“otee are……..esto….bina..”
“…..ace….ltro….ace…”

Mamma sta piangendo, forse le hanno detto che le mie condizioni sono peggiorate.
Ma devono solo aspettare. Aspettare qualche mese in più e quando risponderò alla carezza di mamma con una strusciatina di dito capiranno che c’è speranza. C’è speranza perché io sono viva.
Io mi sento viva.
Penso, vedo, sento, ragiono. Io mi sento viva. E se mi sento viva, lo sono. La morte cerebrale forse sarà anche sopraggiunta ma non la morte spirituale. Cazzo, io mi sento quando penso. OOOOOOOOOOOOOOOOOOOO MI SENTOOOOOO ????
Sìììììììììì FORTE E CHIAROOOOOOOOOOOOO!!!!

Visto ? Io qua dentro sto vivendo. Solo qualche mese e lo scopriranno tutti. Ora però devo riposare, mi sono sforzata troppo. Devo recuperare le forze, più tardi ci si allena a muovere il dito.


***

Sono passate circa tre settimane ed ho di nuovo una visita di massa. Stavolta c’è anche zia e nonna oltre a mamma papà e Fra. Forse hanno parlato loro dei miei progressi. Forse pensano che mi sveglierò tra poco. O forse un infermiera ha notato quando facevo allenamento che il dito mi si è mosso e lo ha comunicato al dottore!
Se è così vuol dire la loro attenzione ora è tutta sul dito. Devo muoverlo adesso, se voglio che se ne accorgano per bene. Forza, forza. Dai su Ale, impegnati su forza, ce la puoi fare. Dai, forza e coraggio.
Si muove! Lo sento lo sento guardatemi guardatemi la mano si muove! Io lo sento che si muove!
Che c’è ? GUARDATEMIIII!!! MUOVO UN DITO!!!! CAZZO!!!!!
Il dottore mi si avvicina ma non mi sembra colpito dal movimento. Nemmeno se ne è accorto pare.
Mamma!!! MAMMAAA!!! Guardami !!! Non ti voltare!!! Mamma guardamiiiiii!!! Cazzoooo perché si gira!!
Dottore, dottore!!!! Sei ad un palmo da me, dai su, notalo almeno tu….oh….merda.
No, non può essere. No, non oggi no! No.
E’ finita. Ecco perché sono tutti qua.
Oggi mi vengono a salutare.
Oggi, mi staccano la spina.
Oggi, io muoio.
Ecco perché mamma si è voltata a non guardare. Il dottore sta manovrando con il quadro elettronico sopra la mia testa. Mi sta spegnendo.
Cazzo, no….mi viene da piangere……cazzo, ancora qualche settimana, o mese e avrei mosso il dito. Lo avrebbero visto muoversi e avrebbero capito che c’era una possibilità su un milione che mi sarei risvegliata. Avrei dato loro speranza. Avrei visto un loro sorriso dopo 3 anni di lacrime.E pazienza se passato un altro anno avessero deciso lo stesso di staccarmi. Era un finale a cui mi ero preparata. Ma loro, loro avrebbero sperato. E invece nulla.
Finisce qua.
Beh, non so cosa dice in questi casi, anche perché non sono mai morta, ma credo si ringrazi tutti no? E allora, grazie a te, mamma, di avermi fatto vivere la mia, anche se breve, vita. Grazie a te, papà, per avermi educato in modo da poter badare a me stessa. Insegnamenti che come vedi, non saranno mai messi in atto.
Grazie a te, Francesca, perché anche se litigavamo spesso io ti voglio bene, e ora dovrai vivere anche la mia vita.
Grazie a tutti i miei parenti, grazie a i ragazzi che ho avuto, alle amiche, ai professori e ai vicini di banco. Grazie davvero, ho vissuto 23, anzi 20, 20 anni davvero fantastici.
E infine scusate. Scusatemi tutti. Mamma, papà, tutti. Dovrete vivere con la mia mancanza, con il mio ricordo anziché la mia presenza. Scusate se non vi ho dato retta 3 anni fa e ho avuto l’incidente. Scusate se vi ho portato a questa situazione. Questo momento è più duro per voi che per me, perché voi in futuro ve lo ricorderete mentre a me non so cosa attende.
Quindi scusate e

lunedì 12 maggio 2008

Nella Notte

“Guarda, siamo arrivati. Accosta qui, vicino al secchione. Ora fai marcia indietro e va in quella strada. Devi entrare a marcia indietro, a quest’ora il quartiere è chiuso.”
“Ma come cazzo faccio? Saranno 500 metri, non la posso fare tutta a marcia indietro!”
“E invece la fai e non rompi il cazzo!”
Il Duca cominciava a perdere le staffe. Aveva un appuntamento e non poteva permettersi di arrivare in ritardo. Il Conte guidava la piccola utilitaria in preda al panico, un po’ perché era notte e doveva entrare a marcia indietro in un quartiere messo sotto chiave dalla polizia e un pò perché intuiva di cosa si sarebbe parlato all’appuntamento del Duca.
Il Principe sedeva dietro immobile e impassibile senza fiatare. Anche lui fremeva per l’appuntamento del Duca ma non lo esternava.
Era buio, saranno state circa le due del mattino.
Potete immaginare da soli il motivo di tanta fretta e di tanto rischio per un appuntamento in un luogo dove non doveva volare una mosca.

Astinenza.

Il Conte lo intuisce, non si fa di droghe, però lo intuisce. Intuisce che il malloppo di soldi che il Duca tiene in mano legato con un elastico non sia per comprare un pacchetto di sigarette.

“Ecco, il palazzo è questo. Fermi qui tutti e due, io faccio presto. Conte ?”
“Sì, Duca”
“Hai per caso qualche soldo?”
“Uhm…beh vediamo…allora…ho 5 euro. Ti servono ?”
“Si, ci sniffiamo piu tardi” esclama il principe, rompendo il suo personale silenzio.
“Lascia perdere, aspetta qui, fari spenti e non fate casino.”
“Come vuoi tu.”
Ormai quella del Conte è più di un intuizione. Era uscito con la scusa di una birra fra amici, e lo avevano messo in una situazione alquanto pericolosa. Adrenalinica, più che altro.
Il Conte e il Principe rimasero in totale silenzio in macchina. Il Principe aspettando la dose, il Conte aspettando di fuggire. La situazione lo stava innervosendo. Ad ogni macchina che passava, poche a dire il vero, sobbalzava, temendo fosse un auto della polizia intenta a qualche controllo.
Dopo un tempo che possiamo definire immenso se visto dai due in macchina anche se per motivi diversi, il Duca esce dal portone con un portamento rigido simulando scioltezza. Entrando in macchina mostra ai compagni il prodotto appena acquistato. Una bustina di polverina bianca e una palletta di carta stagnola con dentro tre caramelle viola.

Il Principe sembra riprendere colore. Saltella sul suo posto, parla a ruota libera, gesticola. Il Conte è passato da “facciamo presto” a “cazzo è la fine”.
E’ la prima volta che vede della droga dal vivo, a pochi centimetri dal suo naso. Ha paura che gli altri due possano forzarlo a farne uso, ha paura che in una situazione del genere potrebbe caderci, potrebbe farsi sopraffare ed è questo che lo terrorizza maggiormente.
“Conte, hai un cd in questa cazzo di macchina?”
“Sì, beh, che vuoi ascoltare?”
“No, non è la muscia che voglio sentire”
E mentre il Conte estrae la borsetta porta cd da sotto il sedile, il Duca ne estrae al volo uno a caso, rigirandolo sul lato a specchio. Il Principe si impossessa della bustina con la polvere e ne rovescia un pò sul cd. Poi con biglietto da visita che estrae dalla tasca dei jeans disegna due candide strisce.
Il Conte ha paura. Gli batte il cuore in gola. Desidera con tutto se stesso che tutto finisca presto. Che sia già domani mattina.
Mentre pensa a quanto sarà bello svegliarsi domattina ricordando tutto come acqua passata, il Duca arrotola un pezzo da 50 che gli era rimasto in mano e comincia a tirare. Una rasoiata decisa, e via, la pista non c’è più. E’ il turno del Principe, che lo imita, tirando anche oltre la linea di polvere.
La botta gli sale. Il Conte li guarda rapito. Quasi che se glielo offrissero, forse un tiro potrebbe anche farselo. Solo uno.
Ma il Duca interrompe le sue deviazioni mentali.
“Dai cazzo metti in moto dai! Chi cazzo aspettiamo? La regina?”
Il Duca ritrova la lucidità e mette in moto. Il Principe sul sedile dietro si è steso per orizzontale. E’ tornato nel suo silenzio.

Il Conte ora guida rigido, ha i muscoli delle braccia tesissimi, quasi che dovesse staccarlo via, quel volante.
Alla fine del viale si arresta. Ormai il Duca è a far compagnia al principe in chissà quale fantastico mondo.
Il Conte controlla che non passi nessuno, poi si immette nella strada principale.
Guarda il cartoccetto delle pillole. Sembra che lo stiano chiamando.
Cerca di immaginare quale effetti possano avere, cosa possano mai farti provare. C’è chi dice che è come provare 1000 orgasmi insieme. Forse però si parlava di eroina. Vabbè, non è questo il punto. Il punto è che magari, una sola volta, non da assuefazione. Magari, così, tra amici, giusto per vedere che effetto fa, non c’è niente di sbagliato.
Si gira e vede il Duca mezzo addormentato, con un sorriso enorme stampato sul viso. Nemmeno i bambini hanno quell’espressione angelica. Dallo specchietto nota che anche il Principe ha la stessa espressione.
Ma sì, guardali, loro non sanno dire basta. Io voglio solo provare una volta. Poi posso smettere tranquillamente. Solo per vedere come si sta. Toglie la mano dal cambio e la avvicina all’involucro.
Poi sente un bip.
E’ il suo cellulare che gli comunica l’arrivo di un nuovo sms.
“Ciao amore, oggi è passato un anno esatto da quando ci siamo conosciuti! Come vola il tempo! Un bacione, mi manchi. Buonanotte, Stella.”

Il Conte guarda di nuovo l’involucro delle pasticche. Ormai la curiosità è svanita.
Guidando verso il centro della città gli nasce sul viso un sorriso enorme, pieno di vita.
Nemmeno i bambini hanno quell’espressione angelica.

domenica 11 maggio 2008

Compito in Classe #3

Tema : il giorno più bellla della mia vita



Svolgimento:


Il giorno più bella daa vita mia è stato er 10/03/02 quanno a Roma ha vinto er derby co a Lazio pe 5-1.
Me ricordo che quea mattina non so annato manco a dormi.
Er sabato sera eremo stati a ballare ar Chiubb che c’era na serata punk-hard-core co un gruppo che spaccava popo che veniva da Asmterdam. Me ricordo professorè che m’ero portato er cambio d’abbito pe annà ao stadio er giorno dopo, senza che devo da passare da casa.
Er destino volle che a Robberta nun ce fosse quea sera, almeno maa potevo spassà pe na vorta.
Naa 106 de Skikkera c’avevo infilato a maglia de Montella, a sciarpa der CUCS (commando ultrà curva sud se noo sapesse), na felpa cor cappuccio e ‘n par de spranghe de fero. A visto mai. Co sti burini nse po mai sapè.
Insomma dato che era notte, saranno state ee due, il giorno più bello da vita mia se po di che era già incominciato.
Mentre ballavo professorè, me ricordo che m’è s’è avvicinata una. Se moveva bene, c’aveva pure un bel par de $%&£ seni, però de faccia n’era bella pe niente. Però aho, pemmè, er sabato sera basta che respireno, è na specie de regola de vita.
Insomma ci comincio diciamo a pomiciare nò, e cerco de portalla fori. Dopo qualche lagna se lascia convince. Pijo le chiavi dar giacchetto de Skikkera e me diriggo verso a 106. Montamo in machina e cominciamo a diciamo amoreggiare. A cosa piano piano sembra farsi più interessante, sarà che questa aveva preso qualche pasta (ma io so uno aperto, non me fossilo su ste cose) e diciamo che era molto socievole. Mantengo arto er nome daa curva sudd, non so se me spiego, e torno dentro. Professorè, ho usate e precauzioni stia manza.
Insomma s’era fatta na certa, chiappo Skikkera e je dico che è ora de telà.
Annamo a fa colazione ar bar der Micio e già me sento aggitato. Come entro noto che sul corriere doo sport en prima paggina ce sta er faccione de queo zingaro de stankovic co n’titolone che diceva “lazio, sei la più forte.” Già me stavano a prude e mani. Ce stanno 15 punti sotto e ancora chiaccherano. Ancora me ricordo che me so girato dar Micio e lui me fa “stai manzo, jee famo tre staseraa sto purciaro”Ancora moo ricordo.
Insomma se pijamo er cappuccino con cornetto e ce dirigemo verso o olimpico. Da notare che la partita se giocava ae 20.30 ma noi ultrà c’avemo er dovere de bazzica intorno ao stadio pe evità malintesi. Arivo che semo na quindicina tutti co e sciarpette a cantà a incita a squadra. Me metto pure io a maglia e me pijo n tramezzo cor tonno ancora moo ricordo e me metto a cantà purio. Quann’erano e tre, se semo messi intorno a machina de Skikkera a senti ee partite pe radio.
Me ricordo che a juve e stava a beccà a Firenze ma poi co du rigori rubatti aa fine ha vinto e che er milanne eva pareggiato ncasa cor torino. Me ricordo pure che l’inter ha perso a brescia. Mortacci sua, c’evo scommesso 20 sacchi quer giorno.

A na certa ariva de corsa er billo che ce dice che ce so un po de lazziali in arivo. Se preparamo un gruppo e glie annamo incontro. Vola qualche cazzotto, qualche bastonata e sur piu bello arrivano i cellerini mortaci loro e tocca fa un fugone generale. Ma tanto i chiapppamo dopo.
Cominciamo a entrà ao stadio che già non c’ho piu a voce. So teso che manco jea fo a parlà.tutti in curva o sapemo che er risultato dipende da noi, da come cantamo quanto incitamo i ragazzi. Semo tutti tesi. Pe fortuna entra a maggica e tutto svanisce. Cantamo da inizio aa fine. Ner primo tempo montella segna tre ggo, mortaci sua, e ar terzo me ricordo che a momenti me pija n corpo al core. A fine primo tempo me sento chiamà da dietro.
“Ah davide!!! Ah davideeee!!! Mortaci tua a majetta porta bene aho!” E infatti c’eva ragione quer fijo de na mignatta der billo. C’evo a maja de montella che eva fatto tre ggo. Mica come lui che c’eva a maja de quer rincojonito de Assuncao. Er merito era pure mio no ?
Ner secondo tempo jemo fatto fa un go pe disperazione a sti morti de fame(peccato proprio a queo zingaro de stankovic) , e poi er capitano nostro co un cucchiaio ha chuso a pratica.

Na giornata così nun credo che maa pottrò scorda mai.

sabato 10 maggio 2008

Compito in Classe #2

Tema : Il giorno più bello della mia vita


Svolgimento :


Il giorno più bello della mia vita non l’ho ancora vissuto perché sarà il giorno del mio matrimonio.
Indosserò un vestito ovviamente bianco, con una coda lunghissima che obbligherà i piccoli paggetti a sollevarmelo su per le scale della chiesa per evitare che si sgualcisca o che io inciampi.
Il vestito sarà interamente di raso, con un bustino contornato di perle e un fantastico velo che scenderà dalla mia testa fin sotto le spalle. Avrò dei guanti bianchi fino al gomito e sarò truccata quanto basta, non mi piacciono gli eccessi. Sarò bellissima e nelle foto sembrerò una principessa.
Il matrimonio si celebrerà nella tarda mattinata di una domenica di giugno. Mi piacerebbe fosse il 21.
Prima che io finisca di prepararmi, tutti i miei amici, parenti e conoscenti saranno tutti sotto casa mia, ad aspettarmi e farmi un grandissimo applauso appena avrò tagliato il nastro.
Il nastro sarà sorretto da Noemi (la figlia di mio fratello appena nata che per quel giorno sarà grande abbastanza, ma non troppo grande) e da un altro paggetto che non so chi possa essere. Forse un qualche figlio di una qualche cugina lontana.
Credo che appena avrò tagliato il nastro, dopo aver sentito l’applauso di tutte le persone che mi vogliono bene, credo che mi commuoverò. Però solo qualche lacrima.
Prima di entrare in una splendida macchina d’epoca totalmente addobbata di fiori che mi accompagnerà in chiesa, la Maddy e la Cri (che saranno ancora mie amiche quel giorno, dato che lo saremo per sempre) mi porgeranno il bouquet da portare in chiesa. La Maddy indosserà un vestito bronzo, con cinta nera e orecchini a grappolo; la Cri un vestito verde acqua con un grazioso cappellino.
Arrivata in chiesa, tutti i parenti dovranno essere già dentro. Mio padre col suo vestito da cerimonia nero mi porterà all’altare dove ad attendermi ci sarà Davide mentre l’organo intona la marcia nuziale. Mia madre al primo banco comincerà a commuoversi. Davide avrà un vestito nero, una camicia bianca e avrà la faccia appena rasata. Mi guarderà pieno d’amore perché sarò bellissima nel mio vestito.
Il parroco celebrerà la cerimonia. Nessun bambino dovrà piangere, nessuno dovrà tossire e il fotografo farà foto solo dal lato sinistro, il profilo che mi esalta meglio il naso.
Alla fine, quando il prete reciterà la formula di rito, dirò “Sì, lo voglio” e Davide farà lo stesso.
Poi ci guarderemo negli occhi, mi alzerà il velo e mi darà un bacio appassionato. Credo che piangerò.
E poi il riso, le foto, il pranzo, la torta, tutto sarà perfetto.Non ci sarà una cosa fuori posto.

Arrivata sera, prenderemo possesso della nostra casa. Che in realtà avremo già arredato e abitato, ma fino al matrimonio non sarà la stessa cosa. Mi prenderà in braccio sull’uscio e mi porterà in camera da letto. Il letto sarà ornato di petali di rose che qualche amico si è offerto di spargere mentre non eravamo in casa. Ci sarà una bottiglia di champagne in una coppa di ghiaccio vicino al letto.
Cominceremo a baciarsi, attendendo che sia lui a prendere l’iniziativa, dato che sarà la nostra prima notte da marito e moglie.

E da quella sera in avanti, saremo io e lui, per sempre sempre sempre…

domenica 20 aprile 2008

O lui o me

Lo sapeva da almeno 6 mesi, ma vuoi per scaramanzia, vuoi per evitare il discorso, non ci aveva mai pensato su. Sdraiato sul suo letto, si mise a rimirare i poster attaccati al muro. Alcuni erano addirittura ingialliti. Al 22 maggio mancavano solo 24 ore, ed era il momento di affrontare la cosa. Credeva nel destino, in una specie di disegno in cui tutti recitano un ruolo preciso, e questo confermava la sua tesi.
La sua squadra del cuore era arrivata fino in fondo al torneo più prestigioso d’Europa , la Champions League, ribaltando ogni pronostico e regalando, almeno per 90 minuti, un sogno a tutti i suoi tifosi.
Una finale di Champions non capita tutti i giorni e gli appassionati di calcio come Federico lo sanno. Fede, come lo chiamavano tutti, era un grandissimo appassionato del gioco più bello del mondo, arrivava perfino a dire che quello era il suo “unico amore”. Non si perdeva nemmeno una partita della sua squadra, che fosse di campionato o amichevole, ma la cosa era diventata più ardua, da quando si era fidanzato con Marzia. Marzia odiava, come la maggior parte delle donne, il calcio e tutte le sue conseguenze : trovava ridicolo farsi rovinare la giornata da un risultato, come capitava a Fede, e stare a guardare “22 barbari che prendevano a calci un pallone” durante una bella giornata di maggio o un sabato sera. Ma gli piaceva Federico, e per lui faceva uno sforzo. Erano arrivati ad un compromesso : lei gli permetteva di vedere le partite e lui la accompagnava a ballare più spesso di quanto avrebbe desiderato. Ma questa volta era diverso.
Questa era la finale della Champions League . E lo stesso giorno era il loro primo anniversario. Come tutte le donne credeva negli anniversari, nelle ricorrenze, nell’ 8 marzo e in San Valentino. E come tutte le donne, al momento in cui Fede gli confessò la data della finale, pronunciò quella frase, la Frase : “Scegli, o il calcio o me !” . Fede era in totale crisi emotiva. Voleva bene a Marzia (pensava addirittura di amarla), ma la poteva vedere, se ne aveva voglia, tutti i giorni e per 24 ore . La finale di Champions League no. E poteva non capitargli mai più. Ma anche Marzia poteva andarsene dalla sua vita . “Stupide donne” pensò. “Non riescono a capire cosa voglia dire amare uno sport . E poi, di colpo, ti mettono ad un bivio sicure di vincere . Però mi piace, e le voglio bene. Non posso perderla solo perché devo vedere una partita.
Solo ?
Dai, magari ci arriviamo anche l’anno prossimo in finale.
Certo!
E se poi la finale la perdiamo ? Rimango senza Marzia e senza Coppa. Bella fregatura ! Cosa faccio ? I pensieri gli correvano nella testa .
Cercò di non pensarci e si mise a dormire .

Il sole di maggio lo svegliò, ricordandogli l’avvento del Grande Giorno. E anche della Grande Decisione. Si vestì distrattamente, fece colazione senza curarsi troppo delle raccomandazioni della madre e mentre stava per aprire la porta di casa, incrociò suo padre nel corridoio. Si guardarono come non si erano mai guardati in vita loro. Suo padre non proferì parola, si scambiarono uno sguardo d’intesa, di vera intesa, e aprì la porta.
Fede scese in garage, salì sul motorino, e si diresse a scuola . Nei corridoi si respirava un aria diversa .Tutti stavano aspettando le 20.45 ma nessuno di loro era davanti ad una scelta cruciale. La sua attesa era diversa da quella di tutti gli altri. Molti dei suoi compagni lo salutarono con una parola in più rispetto al solito. Magari una pacca sulla spalla. Tutti sapevano come fosse importante per lui la partita che si sarebbe giocata da lì a poche ore. Solo che nessuno immaginava quanto. Passò le 5 ore di lezione pensando a cosa avrebbe fatto da lì a quella sera, ma non riusciva a decidersi. Era una decisione da prendere con cautela . Scegliendo una delle due soluzioni, avrebbe forse rimpianto l’altra per tutto il resto della vita. Non voleva farla tanto tragica, ma era così . Tornò a casa, parlò distrattamente con i suoi durante il pranzo, si mise a seguire il telegiornale per sapere le ultime sulle formazioni e si appisolò sul divano. Cercava di evitare la discussione tra se ed il suo cervello. Si svegliò e si fece una doccia, alzando il volume dello stereo che aveva portato in bagno al massimo, in modo da non ascoltare le sue elucubrazioni mentali. Dopo essersi asciugato si chiuse in camera, si buttò sul letto e prese in mano due foto che aveva sul comodino. Nella sinistra teneva una foto di lui e Marzia al compleanno di una loro amica mentre stavano ballando. Nella destra, un ritaglio di giornale che ritraeva il suo idolo esultare dopo il gol che era valso l’accesso alla Finale. Rimase a fissarle, spostando lo sguardo dall’una all’altra . La televisione in salotto era accesa e sentì il cronista prendere la linea dallo stadio della finalissima. Suo padre era già in salotto che fissava lo schermo. Era seduto sul lato destro del divano, il posto in cui tradizionalmente si sedeva per vedere le partite con Fede. L’altra metà vuota lo stava aspettando. Mancava pochissimo alla partita e doveva prendere una decisone. Si alzò, si diresse verso il salotto e fissò il telefono. Abbassò di poco il volume della tv, alzò la cornetta e compose il numero di Marzia . Uno squillo, due squilli, tre squilli . Sentì la voce della ragazza dire pronto, lui si sentì sicuro di fare la cosa giusta .

martedì 15 aprile 2008

Compito in Classe #1

Titolo : Il giorno più bello della mia vita.

Svolgimento :

Il giorno più bello della propria vita non esiste. E' un luogo comune falso e decaduto. Potremmo stare a discutere del momento più bello, o l'emozione più forte, ma del giorno più bello proprio no. Come possono 24 ore essere tutte belle ? Facciamo una prova.
Il giorno più bello della mia vita è stato, che ne so, il 04/08/05.
Mi svegliai nella mia mega villa alle 11.30 senza l'aiuto della sveglia. Mi guardai intorno e notai la bruna venezuelana e la bionda svedese ancora addormentate nel mio letto. Il sole splendeva alto, il cielo era di un azzurro brillante.
Mi alzai dal letto per fare colazione. Mentre mi dirigevo in cucina mi venne voglia di marron glaces. Aprii lo sportello dei biscotti e puff! casualmente c'era una scatola di marron glaces che mi aspettava.
Mi vestii ed uscii di casa per andare a lavoro. Cazzo! Non va bene. Vede, signora professoressa, non ho raccontato nemmeno mezz'ora del mio giorno piu bello e già non ci siamo. Se dovevo recarmi al lavoro, vuol dire che per una frazione di secondo ho pensato "che palle, anche oggi a lavorare" e quindi il discorso di giorno più bello va afarsi benedire. Ok, facciamo che fosse domenica.
Dopo aver fatto colazione, tornai a letto e replicai quello che feci la notte appena passata con le mie sconosciute ospiti, prive di ogni pudore e cariche di eccitazione verso di me e la loro occasionale partner con la quale non disdegnavano scene ad alto tasso erotico.
Vado al bagno a fare la cacca e decido di pesarmi : peso 85 kg.
Bene ,che ore si saranno fatte? E' il giorno più bello della mia vita, avrò diritto di credere che la mia performance si fosse protratta per almeno due ore. Siamo intorno alle 14, quindi. Bene, devo pranzare. Nel giorno più bello della mia vita dove si pranza ? Al ristorante, credo. Chiamo un taxi e vado nel ristorante più raffinato della città. Ah, ma dove abito? Beh, direi in California in un loft sul mare. Ok, ci sto. Vado in questo ristorante, mangio tutto quello che mi va, pago il salatissimo conto senza problemi e poi vado in un bar a prendermi un caffè. Un caffè italiano, specifichiamo. Mentre due bionde mozzafiato mi fanno l'occhiolino, leggo un quotidiano italiano che casualmente si trovava nel bar. Leggo che Tiziano Ferro è morto in un incidente stradale dove ha perso la vita anche Gigi d'Alessio. Leggo che Peter Jackson sta girando contemporaneamente i film di Halo e Lo Hobbit. Leggo che il Vesuvio ha eruttato portando via tutta Napoli.
Tutto felice esco dal bar e incontro Beth Gibbons, mia amica, che mi canta al volo "Roads". Camminando, con l'Ipod nelle orecchie dove il selezionatore shuffle pesca solo le canzoni che ho voglia di ascoltare, vedo che in un negozio di fumetti svendono varie collezioni che cercavo a 50 centesimi. Un momento, l'§Ipod shuffle non è un granchè. Ho l'Ipod touch da 500 giga.
Torno a casa e posso scegliere se giocare con la Wii, la Play3 o la Xbox 360. Decido invece di leggermi un libro. Le ultime 5 pagine di un libro di 1300. Guardo l'orologio e vedo che manca poco alle 20.45, ora in cui la Juve si gioca la finale di coppa dei campioni contro il Real Madrid. Se vince, è la decima coppa della storia e nuovo record. Accendo il mio decoder e sul televisore full HD mi vedo la partita senza che nessuno mi disturbi mentre bevo birra e mangio messicano da asporto. La partita finisce 5-0, segna 3 gol delPiero che diventa il miglior marcatore nella storia del mondo, il 4 lo segna Trezeguet in rovesciata e il 5 buffon, che para anche un rigore.
Esco per festeggiare e prendo il mio pick-up nero in garage che ha il pieno di benzina e un impianto stereo mai visto.
Sì ma...sono solo.
Vede prof, sono arrivato fino alle 23.00 ma poi ? Dove vado in California, da solo, a festeggiare per la Juve ? Come minimo avrei pensato "ah, se i miei amici fossero qui" e mi sono fregato.
No, il giorno più bello della vita non esiste.



martedì 18 marzo 2008

O la va o la spacca

Ultimamente si sta diffondendo la febbre dal poker tra i miei amici. Durante una di quelle serate i cui facciamo più scena che partite, mi è venuta in mente questa storia. E' la prima della mia Moleskine, abbiate buon cuore nel giudicarla.


Diecimila.
Sono sotto di diecimila e non me ne sono quasi nemmeno accorto.
Stavolta non penso che Jen me la farà passare.
Cazzo, stavolta avevo anche un buon punto. Però quando dice sfiga non c’è nulla da fare. Chi l’avrebbe mai detto che con un full di K avrei perso un piatto da quasi 5 mila dollari ? Uno con un minimo senso della famiglia, ecco chi. Uno che non avrebbe basato il futuro dei suoi figli su una scala a incastro. Uno che non sono io.
Che ore sono ? Uhm, mezzanotte e 20. Se non ce la faccio a rientrare entro poco tempo dovrò lasciare a questo branco di iene anche la macchina. Loro non lo sanno, ma io diecimila dollari non ce li ho. Non ce li ho mai avuti a dir la verità. Se ce li avessi avuti, perché mai sarei stato seduto ad un tavolo da poker con tre dei più famosi giocatori d’azzardo di Boston ?

***

Le carte stanno ora a “Rivoltella” Jack. E’ quasi ipnotico vedergli mescolare le carte. Forse è proprio quello il suo scopo, ipnotizzare gli avversari per combinarsi qualche bella giocata servita. Non so come mai, ma ho la netta impressione che mi stiano fottendo. “Rivoltella” è nettamente in attivo, Milton è fuori di tremila ma non pare agitarsi e Winston Lewis…beh è il padrone della bisca. In qualche modo ci guadagna sempre.
L’unico che ha da perdere qualcosa qua sono io. Però credo di potercela fare. Saranno anche giocatori professionisti ma non barano, almeno non nel senso di truccare le carte. Forse barano comunicandosi le carte che hanno in mano, ma se lo hanno fatto, devo dire che sono veramente bravi.
Il punto è che devo credere che sia così. Devo credere che non stiano barando e che se la fortuna è dalla mia posso riuscire a salvarmi dal casino in cui sono finito e tornare a casa con a) i soldi, b) la macchina, c) le mie gambe.
Rivoltella distribuisce le carte.
Le apro piano piano per gustarmi la sorpresa.
Un K. Bene.
Un 7. Male.
Un 8. Malissimo.
Un asso. Meglio.
Un J. Beh, mi è andata male. Posso tentare una scala, ma mi servono due carte: probabilità irrisoria. Colore ? Non se ne parla, tutte spaiate. Credo che blufferò. Punterò una cifra media, che ne so, 1000, poi cambierò una carta e punterò tutto ciò che mi è rimasto. Ovvero altri 1000 e la macchina. O la va o la spacca. Oppure tengo il K e l’Asso e vedo che succede, magari entra un tris.
Opto per la seconda opzione. Jack ci viene, male. Milton anche, male. Winston addirittura rilancia di 3000. Sto nella merda.

Cambio le carte e mi entrano un Asso, un 8 e un Q. Ho in mano una misera coppia. A questo punto non posso più ritirarmi. Rilancio i 1000 e per rendere credibile il bluff lancio anche le chiavi della Ford sul tavolo. Rivoltella abbandona e Milton lo segue a ruota. Per ora è perfetto.
La parola sta a Winston, che ha cambiato una sola carta. La mia unica speranza è che cada nel bluff e mi lasci la macchina

Vediamo che fa. Ci pensa. Uhm, vecchia tattica. Ci pensa ancora. Ha lo sguardo fisso sulle carte e non si decide. Il silenzio della sala mi uccide. Anche gli altri si stanno un po spazientendo. Milton continua a giocherellare con le fiches, rivoltella guarda Winston con lo sguardo perso nel vuoto. Siamo tutti in attesa della sua parola. Dai cazzo, brutto ciccione, abbandona. Vattene. Rinuncia.

Ma nulla.Non parla. Winston guarda le carte che ha in mano e non proferisce parola. Però…ora che lo guardo meglio sembra che nemmeno respiri. Cazzo, è morto. Si, è proprio morto! Lo penso solo però. Se è davvero morto, sono a cavallo. Si si è morto c’è poco da fare. Con la testa piegata a guardare le carte e il berreto schiacciato ben bene sulla fronte gli altri dal loro posto non riescono a vedere il rigagnolo di bava che gli scende dall’angolo della bocca e gli occhi aperti e vitrei. Se riesco ad approfittare della situazione prima che il rigagnolo di bava si stacchi dal labbro e cada sul tavolo, sono un uomo salvo. Allungo la gamba sinistra sotto il tavolo mantenendo gli occhi fissi sulle mie carte cercando di arrivare al gomito di Winston. Il filo di bava si fa sempre più lungo. Milton non è un problema dato che ha occhi solo per le sue fiches ma Jack può darmi fastidio. Cerco di non voltare lo sguardo altrove, lo mantengo sul bel faccione del re di picche e intanto con la gamba spingo per arrivare a Winston. Finamente trovo un ginocchio. Il sinistro. Bene. Devo alzare la gamba un pò e sperare che la provvidenza mi aiuti. O la va o la spacca. Spingo leggermente il gomito di Winston giù dal tavolo senza farmi vedere e la scena che risulta agli occhi di Jack è chiara ed eloquente. Winston abbandona. Non vede il mio punto. Butta giù le carte sul tavolo e rimane con lo sguardo fisso sul tavolo. Devo intervenire subito prima che la situazione mi sfugga.
“Beh, mi dispiace ragazzi, ma stavolta ce l'ho fatta a fare un piatto!” Devo raccogliere le fiches ed alzarmi, ed è tutto finito. Winston ancora non si muove. Devo avvicinarmi all’uscita. Si, dai Jack, accompagnami verso l’uscita e lasciamo il caro e vecchio Winston a pensare a quale punto potevo avere in mano.
“Ce l’hai fatta proprio all’ultimo secondo, hai avuto fortuna” sussurra Milton, senza alzare gli occhi dalla fiches.
“Ehi, Win, visto che fortuna? Ma tu che punto avevi ? Win?” Rivoltella non riceve risposta. Devo andarmene subito.
“Sarà scosso per l’ultima mano” Cazzo, devo sbrigarmi.
“Dai Win, dimmi che punto avevi no ?”
Già che punto aveva? Devo saperlo. Non posso andarmene senza sapere se lo avrei battuto anche giocando onestamente. “Ragazzi, vi dispiace se uso la toilette?”
“Ma figurati, guarda è proprio in fondo a destra.”
“Faccio in un attimo”
Allora Win, che punto avevi ?
Fantastico, Milton si scolla da quella maledetta sedia e si avvia verso la cassa. Ora devo terminare lo show in bellezza. “Eh? Come dici scusa Winston ?” Ecco, abbasandomi così dovrebbe sembrare che mi stia parlando in un orecchio. Forza su, fammi vedere le carte. Non ce la faccio. Maledetto rigor mortis di merda. Ha le dita inchiodate e non riesco ad alzarle. “Eh eh, vecchio volpone” cazzo molla ste carte ciccione! Ecco! Finalmente! Cazzo. Scala reale all’asso. Ha cambiato una carta e gli è entrata una scala reale. Mi avrebbe fottuto alla grande, il balordo. Per questo gli è vvenuto un infarto. “Si si come no, ma certo Win…ora devo scappare però. Mi dispiace, sarà per un'altra volta.” Cooosì, perfetto.
“Ti ho cambiato i soldi intanto, ed eccoti qua le chiavi della macchina. Alla fine ti porti a casa 16 mila dollari” mi fa Rivoltella con il tono sei-un-amico-torna-quando-vuoi.
“Beh si ho avuto molta fortuna nell’ultima mano. Grazie, ma è davvero tardi e devo tornare da mia moglie. Il vecchio Win mi aveva invitato a restare, magari con una delle sue ragazze…sai cosa intendo.”
“Ahaha il vecchio Win è sempre il solito!”
“Ciao Jack, ci si rivede” E prendo la direzione della porta. Sono quasi fuori. Apro la porta, sento il freddo di Boston che mi sbatte in faccia.
“Quando vuoi, qui sei il benvenuto, vero Win ? Win ? Wiiiiiiiiiin !?!?!?!?”

Devo correre. Mancano pochi metri. Via, via via vaffanculo, via. Ci sono, ecco la porta, forza, ecco la macchina. Ce l’ho fatta. Ho le gambe, ho i soldi e la macchina.

Anche stavolta ci sono riuscito.


martedì 11 marzo 2008

Non ho la minima idea...

...di quello che sarà di questo blog.

Mi è venuta voglia di scrivere, scrivere e scrivere, racconti brevi, frasi, storie, romanzi, cazzate, insomma tutto. Dato che ho già un sito anzi uno space dove cazzeggiare, quà mi voglio cimentare in qualcosa di piu serio. Per cui, se avrete voglia e soprattutto pazienza, passate di qua ogni tanto a leggere qualche cosa che spero vi faccia passare 5 minuti.